Comportamento normale o patologico?
L’argomento alimentazione dei propri bambini è spesso un tarlo per i genitori. Molti genitori si preoccupano e lamentano dell’alimentazione dei loro figli, specialmente quando questi sono piccoli. “Ha/hai mangiato ?” è la domanda ricorrente che viene posta al partner, alle insegnati, alle baby sitter, ai nonni e a tutti coloro che si occupano quotidianamente dell’alimentazione dei figli. Spesso l’alimentazione del bambino viene utilizzata come misura rispetto la propria o l’altrui capacità di accudimento.
Spesso il momento del pasto diventa denso di scontri e conflitti proprio a causa dell’ansia che viene veicolata. In tal modo si genera un circolo vizioso: l’ansia e la rabbia diventano i veri protagonisti della tavola e il cibo ne paga le conseguenze. Si crea infatti molto presto l’associazione cibo-emozioni negative che nel tempo sarà difficile da debellare.
Cosa fare allora? La prima strategia da adottare è quella di capire, nell’ampia gamma di approcci del bambino al cibo, se si tratta di un comportamento patologico o semplicemente di uno stile alimentare.
Esistono bambini che mangiano molto poco, troppo, bambini che mangiano in maniera disordinata, bambini che mangiano solo un numero ristrettissimo di alimenti e che rifiutano di assaggiarne di nuovi. Come orientarsi?
Distinguere lo stile alimentare patologico
Le prime variabili da tenere in considerazione per la diagnosi un disturbo dell’alimentazione nei bambini sono: la durata, la frequenza, l’intensità del comportamento e le ricadute effettive sulla crescita.
I disturbi della nutrizione: 0-3 anni
Si definiscono disturbi della nutrizione le difficoltà dei bambini a stabilire pattern regolari di alimentazione caratterizzati da un’adeguata immissione di cibo e collegati con gli stati fisiologici di fame e di sazietà. Ne fanno parte:
- Disturbo alimentare dell’autoegolazione: il bambino fa fatica a raggiungere una calma vigile che permetta l’alimentazione. Es: ha sonno o è troppo agitato
- Disturbo Alimentare della Reciprocità tra Caregiver e Infante: sono assenti o tardivi i segnali di reciprocità tra la madre e il bambino (contatto visivo, sorrisi, vocalizzi). Questo porta a deficit significativi di crescita.
- Anoressia infantile. Il bambino manifesta uno scarsissimo interesse per il cibo rifiutandosi di mangiare una quantità adeguata di cibo per almeno un mese. Si sviluppa così una malnutrizione cronica.
- Avversione sensoriale per il cibo. Il bambino sviluppa carenze nutrizionali specifiche e/o ritardo dello sviluppo orale- motorio perché si rifiuta di mangiare particolari cibi che presentano peculiari caratteristiche come sapore, odore, colore, consistenza.
- Disturbo alimentare post traumatico. In seguito ad un evento traumatico il bambino si rifiuta di mangiare
I disturbi dell’alimentazione nei bambini
Dopo i tre anni, le difficoltà alimentari del bambino, se patologiche, vengono diagnosticate come disturbi alimentari. Ne fanno parte:
- Anoressia
- Bulimia
- Alimentazione selettiva: il bambino si alimenta di pochi tipi di cibi ma non ha problemi di peso o altezza.
- Rifiuto del cibo: il bambino si rifiuta di mangiare in specifici contesti, ad esempio la scuola.
- Fobia con evitamento del cibo: il bambino ha paura di deglutire o soffocare e per questo evita alcuni cibi specifici.
- Sindrome da Rifiuto Pervasivo: il bambino è malnutrito perchè si rifiuta di bere e mangiare.
La maggior parte dei disturbi citati precedentemente rientrano nella patologia proprio perché vengono soddisfatti i tre criteri dell’intensità del comportamento, della durata nel tempo e delle conseguenze sullo sviluppo.
Cosa fare
Spesso è fondamentale lavorare con i genitori più che col bambino.
Alcuni genitori hanno delle abitudini alimentari sbagliate che spesso trasmettono al bambino. Altri nel momento del pasto sono emotivamente distanti e distaccati e non condividono col bambino le emozioni. Al pasto spesso non si crea un momento conviviale, bensì un clima di stress e conflitto. In queste famiglie spesso il pasto rappresenta il momento in cui i genitori parlano del lavoro escludendo i figli, oppure il pasto diventa l’occasione per chiedere della scuola ed esprimere il proprio disappunto sul rendimento. In altre famiglie non si mangia tutti assieme e quindi manca la condivisione: non di rado i bambini mangiano prima e spesso da soli perché la mamma è impegnata nelle faccende.
Tutti questi elementi incidono fortemente nella comparsa di un disturbo o disagio alimentare perché il cibo si connette ad un momento negativo della giornata. Dietro ad una problematica alimentare quindi si cela spesso una problematica relazionale. E’ per tale motivo che il lavoro con i genitori è importante.
In psicoterapia essi possono cogliere quei comportamenti disfunzionale alla base del rifiuto del cibo da parte del loro bambino. Lavorando sul momento del pasto, anche con tecniche quali la scultura, è possibile individuare e modificare velocemente quegli elementi alla base disturbo. La famiglia ne esce rafforzata e nella maggioranza dei casi il disturbo scompare in breve tempo.