Si definiscono come lavoro di cura le pratiche di lavoro domestico non formale svolte a favore di soggetti non indipendenti, come bambini ed anziani. A causa del fatto che il lavoro di cura non viene economicamente retribuito, spesso viene definito come responsabilità di cura. Il lavoro di cura è quasi sempre appannaggio della donna. Raramente il carico e la responsabilità del lavoro di cura viene condiviso dagli altri familiari. Nella maggioranza dei casi, la presenza di un anziano non indipendente, di un bambino piccolo o di un diversamente abile in famiglia costituisce elemento di criticità. Emerge con forza la difficoltà, la fatica di far fronte alla situazione.
Le dimensioni del lavoro di cura
E’ un lavoro che conosciamo in quanto incorporato in tutta quella serie di attività domestiche che le donne hanno storicamente compiuto per i loro familiari.
E’ anche presente e incorporato in una serie di attività professionali più ampie e più precisamente definite, ad esempio, come lavoro sociale, educativo, intervento sanitario e di riabilitazione.
Il lavoro d cura è costituito da alcune dimensioni che contribuiscono a definirlo in sè:
- fisica e materiale: è un lavoro pratico e concreto che si svolge faccia-faccia con la persona di cui ci si occupa, con il suo corpo, con le parti e con le funzioni più intime del suo corpo;
- organizzativa: è un lavoro che richiede lo svolgimento di determinate sequenze che riguardano la persona e l’ambiente, teso a determinate finalità e poggiante su determinati valori;
- emotiva: riferita non unicamente al fatto che questo tipo di lavoro veicola emozioni, bensì a quella che potremmo definire come dimensione gestionale delle emozioni. Chi svolge questo tipo di lavoro affronta la necessità di dover tenere sotto controllo l’eccessiva esposizione alle emozioni e, contemporaneamente, continuare ‘a sentire’. E’ anche impegnato in una sorta di produzione sociale emozionale, cioè nella produzione di una modalità di relazione di cura legittimata socialmente. Dev’essere non distante/non intima, non asettica/non coinvolgente, non estranea/non personale.
Storia e ruolo femminile
A partire dagli anni ’70-’80, il ruolo femminile è, come si sa, radicalmente cambiato. È aumentato enormemente l’accesso all’istruzione per le donne. La formazione professionale è diventata un valore, il matrimonio ha cessato di essere l’unico o il massimo traguardo per una persona di sesso femminile. A questo punto però, e lo si può constatare ancora adesso, è esplosa una grande contraddizione.
Infatti oggi le donne attribuiscono alla professione il valore e la considerazione che merita. Il lavoro professionale è diventato centrale, permette lo sviluppo della personalità, permette di avere anche una vita autonoma, di non dipendere finanziariamente dal partner. Tuttavia, e da qui la contraddizione, non è cambiata, nonostante questi grandissimi e profondi mutamenti degli ultimi 15-20 anni, la distribuzione o ridistribuzione tra i due sessi del lavoro non retribuito, vale a dire il lavoro di cura.
Lavoro di cura: metaconcetto che attraversa l’esistenza femminile
Il lavoro di cura è una definizione, una specie di metaconcetto che attraversa tutta l’esistenza femminile. Cosa si intende per “lavoro di cura”? Significa prendersi cura del marito, cucinare, avere la responsabilità della conduzione del ménage famigliare e dei lavori domestici, rappresentare la casa e la famiglia verso l’esterno. Significa partorire i figli, accudirli, educarli e infine, quando il lavoro di cura diminuisce perché i figli sono cresciuti, doversi assumere la responsabilità della cura degli anziani.
Il lavoro di cura è quasi sempre appannaggio della donna.
Raramente il carico e la responsabilità del lavoro di cura viene condiviso dagli altri familiari.
L’attribuzione di tutto questo settore, di questa immensa mole di lavoro non retribuito, indispensabile alla famiglia e alla società, continua a costituire un grosso problema, che ancora non è stato risolto. Non c’è stata una ridistribuzione equa o una ripartizione equa di questi compiti.
Quando entrambi i coniugi o entrambi i genitori in una famiglia lavorano, il lavoro di cura è una cosa che viene tradizionalmente attribuito alle donne. Addirittura le donne se lo autoattribuiscono! Perché il lavoro di cura fa parte di quello che si considera l’essenza della natura femminile.
Doppia presenza
Si arriva così quasi sempre al dilemma della cosiddetta doppia presenza. Essa è fonte di uno stress notevolissimo, non solo psichico, ma anche per quel che riguarda il carico di lavoro. Anche nei casi un cui il lavoro materiale viene risolto con degli aiuti, poco o nulla è risolto sul piano psicologico. Una donna che ha dei figli, generalmente, si sente responsabile della cura e dell’educazione di questi figli. Perciò generalmente le donne si trovano confrontate di continuo con decisioni molto laceranti. Sul piano orizzontale, vale a dire nell’impostazione delle giornate (“cosa posso o devo privilegiare oggi, l’impegno sul lavoro o la malattia del bimbo, che tanto mi preoccupa? o la visita all’anziano genitore?). E poi soprattutto per quanto riguarda la dimensione verticale, cioè nell’impostazione della biografia, cioè delle cosiddette scelte di vita.
Per quanto possa sembrare paradossale, il mondo del lavoro è proprio quello in cui la parità è più lontana.
Ogni donna si pone presto o tardi domande. Imparo una professione, seguo una formazione che mi costa un grande impegno, ma ne vale veramente la pena? La esercito, questa professione, e se sì, con quali modalità? Scelgo il part-time? Con tutti gli svantaggi dal punto di vista della professione che questo tipo di impiego di solito comporta (vale a dire: poche prospettive di carriera, minor retribuzione). E così via.
Come conciliare due mondi tanto diversi?
In campo professionale, nonostante le buone intenzioni, se non si risolve questa insanabile contraddizione bisogna purtroppo ammettere che la parità è ancora lontana.
Anche la donna che ha ben in chiaro che percorso professionale scegliere, che sa per quali obiettivi lavorativi o di carriera impegnarsi, dal momento che diventa madre si troverà confrontata con questo problema, di non facile soluzione.
La nascita di un figlio, la maternità è secondo me un avvenimento talmente diverso da tutti gli altri, talmente poco paragonabile a tutto il resto, che questa contraddizione si pone alla stragrande maggioranza delle donne, anche a quelle più determinate. E si tratta appunto di una contraddizione per sua natura insanabile.
Come può una donna a scegliere tra un lavoro che l’appassiona, che le permette di realizzarsi e un bambino che le è affidato e del quale è madre?
Chi fa un lavoro e si impegna per questo lavoro, sa che grande valore ha essere indipendenti finanziariamente, realizzarsi in una professione, assumere un compito importante, che ci permette di contare e di partecipare sul piano sociale. E, d’altro canto, chi è madre sa cosa voglia dire: la maternità resta una cosa bellissima, incredibile, misteriosa. E’ importantissima, e soprattutto molto impegnativa.
Perciò spesso la soluzione è cercare dentro di sé l’equilibrio personalmente raggiungibile. Con questo intendo il fatto di ascoltare solo se stesse e capire quale proporzione ci fa meno male e quale sentiamo appartenerci, senza stare troppo a sentire quello che per gli altri è giusto. C’é chi si sentirà meglio dando più spazio al lavoro di cura e ridimensionando quello lavorativo e viceversa. Non esiste una proporzione sana, esiste quella che siamo più in grado di reggere, condividere, in base all’indole, alla situazione, al nostro vissuto e così via.
La conditio sine qua non più importante per la soluzione di questo problema che sembra davvero irrisolvibile è che si rivaluti il lavoro di cura. Il lavoro di cura dev’essere riconosciuto e retribuito. Si dovrebbe pensare a questo compito come a qualcosa che riveste un valore altissimo, per ogni singolo individuo e per la società nel suo insieme. Solo con un approccio di questo tipo si potranno individuare soluzioni adeguate e dignitose.
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