Dopo mesi di assenza dai banchi di scuola e di didattica a distanza (DAD), gli adolescenti sono potuti rientrare da poco in classe, anche se molti per il 50% delle ore. Ma non tutti sono felici o sereni rispetto a questa possibilità. Dopo mesi di limitazioni e segregazioni a casa alcuni ragazzi si trovano spaesati di fronte al ripristino della didattica in presenza. lI lockdown, le limitazioni e il cambio dello stile di vita hanno creato in molti ragazzi insicurezza e ansia. E’ stato completamente distorto e modificato quel periodo della vita all’insegna dell’irrequietezza, della curiosità e della necessità di confrontarsi col modo.
Gli adolescenti, la DADe l’anarchia
Nonostante l’enorme sforzo profuso dagli insegnati, dalle famiglie e dagli stessi studenti affinché la DAD funzionasse al meglio, c’è da dire che attorno a questa modalità didattica si sono sviluppate diverse critiche e svariati problemi.
La DAD, che sicuramente è stata una risorsa per garantire la prosecuzione delle lezioni, non è riuscita però a colmare alcune lacune. Sono mancati elementi quali la possibilità di scambiare due chiacchiere con i compagni, il contatto diretto coi professori, la possibilità di leggere il comportamento non verbale, la campanella che scandiva i tempi scolastici e così via.
La possibilità di tenere le telecamere spente durante la DAD ha permesso a molti adolescenti di sfruttare quelle ore facendo altro. C’è chi è rimasto a letto col computer acceso in contemporanea allo smartphone o alla musica, chi ha abusato dei social media o dei videogiochi, chi ha sviluppato o aggravato disturbi alimentari legati alla sedentarietà, alla predilezione per il “cibo spazzatura” e al binge eating. Molti sono rimasti in pigiama per quasi tutta la giornata tralasciando anche l’igiene personale. L’anarchia ha avuto la meglio e molti se si sono approfittati del controllo più labile degli adulti per ovvie ragioni. Tutto questo a discapito dell’apprendimento e della salute psicofisica dei ragazzi.
Molti ragazzi hanno vissuto per mesi reclusi nelle loro stanze, limitando al minimo i contatti coi coetanei e con la famiglia. Sono infatti aumentati i casi di hikikomori, cioè ragazzi in autoisolamento per scelta e per ansia patologica.
Le nuove regole sociali introdotte per combattere il coronavirus, hanno tolto a molti ragazzi la possibilità di fare esperienze che non torneranno più, come, ad esempio, l’esame di maturità assieme ai compagni, l’ultima gita scolastica e così via.
La voce degli adolescenti
Nel mio lavoro di psicoterapeuta sto raccogliendo tanti racconti di ragazzi che riportano un forte senso di disagio, di sofferenza e di abbandono. Sono spiazzati perché molti di loro non si riconoscono. Non riescono più a fare appello alle loro risorse perché sentono di averle perse. Il disagio che lamentano è confuso: non riescono bene a definirne la natura, la provenienza e soprattutto cosa fare per farne fronte. Si ritrovano a rimuginare per ore davanti a uno schermo o nella solitudine delle loro stanze. L’impossibilità di un costante confronto diretto con i compagni e gli insegnai assieme alla perdita dei precedenti punti di riferimento li ha completamente disorientati provocando un senso di malessere profondo. Questi ragazzi stanno sviluppando sintomi quali l’ansia o la depressione. Sono spaventati dal tornare a scuola o comunque non si sentono pronti perché vedono la casa come un rifugio.
Alcuni di loro si sono talmente adattati alla DAD da non volerla lasciare.
Alcuni genitori sono allarmati perché i figli vogliono abbandonare gli studi. Raccontano di aver perso la motivazione o di essere rimasti troppo indietro rispetto al programma. La DAD per alcuni è stata infatti deleteria rispetto alla comprensione delle lezioni. La presenza in casa di altri stimoli come cellulare, televisione e videogiochi ha infatti influito sulle capacità di attenzione e apprendimento.
Cosa fare?
Innanzitutto rendersi conto di questa emergenza. Gli adolescenti sono una delle categorie più colpite dagli effetti della pandemia.
E’ necessario che noi adulti ci poniamo in ascolto del loro disagio cercando un approccio empatico e paziente. Il dialogo, come sempre, è una grande risorsa. Molti adolescenti sembrano volerlo evitare tirando fuori la rabbia. In realtà spesso dietro la rabbia si nasconde un profondo malessere. Sta a noi adulti saper vedere oltre. Non rispondere a muso duro, ma con atteggiamento accogliente e paziente.
Qualora lo scoglio o il disagio fossero davvero insormontabili si può chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta. La terapia familiare in questi casi è sicuramente l’approccio migliore perché permette un confronto tra genitori e figli e una mediazione tra i diversi linguaggi e le diverse personalità. L’alternanza tra sedute familiari e individuali con l’adolescente aiuta a contenere diversi vissuti e a creare una sinergia tra i membri della famiglia.